Parlare di cancro con i più piccoli in famiglia

parlare di cancro in famiglia

Parlare o meno della malattia ai figli, specie se piccoli, è un dubbio legittimo, che molte volte assilla i pazienti oncologici, nel tentativo di proteggere i propri figli da una  realtà spesso difficile e dolorosa.
In realtà è importante riconoscere che i bambini avvertono anche i più piccoli cambiamenti nella routine familiare e hanno “antenne” pronte a cogliere ogni minima variazione d’umore, di comportamento, di sguardo, di voce… Per questo diventa fondamentale informarli adeguatamente riguardo a ciò che sta succedendo trovando le parole, i tempi e gli spazi idonei, nel rispetto di una comunicazione aperta e trasparente.

Come faccio a dire a mio figlio che ho il cancro?
Quali parole posso usare?
E qual è il momento giusto?

Queste sono solo alcune delle domande che un genitore malato di cancro può porsi, interrogandosi sul senso e sul modo di comunicare la propria malattia ai figli.

Cari genitori,
con pazienza, impegno e qualche sforzo, potrete scoprire di essere in grado di parlare della malattia oncologica ai vostri figli, in modo consapevole e senza timori. A volte è difficile e non va esattamente come vi immaginavate, ma la cosa importante è iniziare a pensarci e perché no… a provarci.

Ecco qui 7 consigli pratici per affrontare la malattia oncologica in famiglia.

    1. Non abbiate timore di parlare con i vostri bambini.
      parlare di cancro ai figli
      “Perché spaventarli inutilmente?”
      “… non vorrei creare loro dei traumi,
      ho paura di non utilizzare le parole giuste”

      “Lo vedo così tranquillo, non voglio dargli dei dispiaceri”
      All’inizio è difficile sapere cosa si può dire ai bambini e ai ragazzini circa il cancro. Sappiate che parlarne non è una cosa che si può esaurire in una volta sola: i vostri figli hanno bisogno di aggiornamenti continui e della vostra disponibilità e pazienza ad accogliere le loro domande e le loro paure.
    2. Permettetevi di essere imperfetti.schermata-2016-12-27-alle-10-46-59

      “Non voglio mostrarmi senza parrucca, né tanto meno mostrare loro le cicatrici, non vorrei che si scioccassero o si spaventassero troppo”
      “Cosa devo fare? Mi sembra che non sia mai il momento giusto!” 

      Non aspettatevi subito di dire la cosa “giusta”: ai vostri figli non servono le parole perfette, hanno bisogno che voi possiate stare con loro, anche in un tempo e in un luogo dedicato.
      Riconoscete pure che non è facile, soprattutto di fronte alle domande più difficili e delicate e non preoccupatevi se non vi sentite in grado di affrontare subito la questione con i vostri figli. Fatevi tranquillamente aiutare e sostenere da una persona di fiducia, che conosca voi e i vostri figli.
       

    3. Esplorate ed approfondite ciò che i vostri figli già conoscono.
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      “Non credo che sappia che la mia malattia si chiama cancro…” 
      “ Ho raccontato a mia glia solo una piccola parte della verità, la voglio tenere lontana dall’ospedale e dall’ambiente delle cure”. 

      Potrebbe esservi d’aiuto chiedere ai vostri figli cosa già hanno capito e cosa sanno della malattia di mamma o papà. Soprattutto quelli più grandicelli potrebbero essersi costruiti delle loro “storie” circa la vostra malattia, che è bene che voi possiate conoscere.
      Questo vi aiuterà a capire se ci sono distorsioni o incomprensioni, regolandovi così su quando, quanto e come dire, per aggiustare di volta in volta il “tiro” e sintonizzarvi con loro. 

    4. Lasciate che i vostri figli facciano domande liberamente.
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      “E se poi facessero domande a cui non so rispondere e che mi mettono in difficoltà?”
      “Perché aprire dei discorsi che poi mi farebbero piangere?” 

      È importante coinvolgere anche i bambini più piccoli e dare loro spiegazioni, facendo attenzione a non sovraccaricarli con eccessivi dettagli, che risulterebbero inutili.
      Date qualche informazione e attendete, per dar loro il tempo di accogliere ed elaborare ciò che avete detto. Poi invitateli pure a fare domande libere. Potrebbero chiedervi qualcosa anche in momenti successivi.

      Prendete sul serio tutte le loro considerazioni, perché questo darà loro sicurezza e li aiuterà a sentirsi capiti. 

    5. Conservate i tempi e le routine famigliari.

      “In questo periodo, preferisco lasciare mia figschermata-2016-12-27-alle-10-54-19lia dai nonni, non voglio che mi veda stare male e poi comunque non riuscirei a provvedere a lei adeguatamente”
      “Quando torno a casa dopo la terapia, preferisco chiudermi in camera per i giorni in cui sto peggio, perché non tollererei il fatto di farmi vedere così debole” 

      Per quanto possibile, mantenete le vostre abitudini famigliari ed accogliete tutti i contributi che i vostri figli potranno darvi per aiutare a casa, senza per forza esigerlo.
      Dar loro un piccolo ruolo all’interno della routine familiare permetterà loro di sentirsi coinvolti e partecipi in modo adeguato ed efficace. A volte ciò che serve è il tempo per adattarsi alla nuova situazione e per riorganizzare le abitudini di vita famigliare.
       

    6. Siate onesti e aperti al dialogo. 

      “Nonschermata-2016-12-27-alle-10-31-19 si pronuncia la parola morte, non me la sento di ammettere a mia glia che potrei non farcela”
      “Non voglio farmi vedere triste, cerco di essere sempre e comunque sorridente e fare finta di niente!” 

      Ricordate: nascondere la verità non significa necessariamente proteggere i bambini, anche se la realtà è molto triste. Incoraggiate i vostri bambini ad esprimere come si sentono e fermatevi ad ascoltarli tutte le volte che vi sembra siano predisposti a parlarne. Saranno occasioni preziose perché loro non si sentano soli. Mantenete un atteggiamento aperto e disponibile al dialogo ed al confronto. È bene anche ammettere di non poter avere tutte le risposte. Non abbiate paura di dire “non lo so”. I bambini sanno affrontare la verità, anche se molto triste, con una sorprendente capacità. 

    7. Mostrate il vostro amore e accogliete tutte le emozioschermata-2016-12-27-alle-10-46-35ni.“Non voglio che mio figlio mi veda piangere e stare male, devo essere forte per lui “ 


      “ Gli ho parlato della mia malattia e non mi ha chiesto nulla, anzi si è voltato e ha ripreso a giocare”

      L’espressione delle emozioni nei bambini segue l’esempio che ricevono dagli adulti e ciò che osservano in famiglia. Non abbiate timore di esprimere i vostri sentimenti e di mostrare le vostre lacrime. Questo permetterà ai bambini di accedere più facilmente ai propri vissuti emotivi e li autorizzerà ad esprimere anche le emozioni più difficili, come la tristezza o la rabbia.

      Lasciate che i vostri figli sappiano quanto li amate. Assicurate loro che saranno sempre nei vostri pensieri e nel vostro cuore: questo contenitore sarà la loro vera protezione.
      Anche la gioia ha diritto di essere espressa: incentivate attività divertenti e giocose, senza paura di innescare sensi di colpa ed inadeguatezza.

      La malattia oncologica apre ad un senso di imprevedibilità e di attesa che può durare anche per molto tempo e purtroppo può avere esiti non sempre attesi. Per questo è importante coinvolgere il bambino sin dall’inizio, in modo che possa essere accompagnato gradualmente a comprendere cosa sta succedendo in famiglia.

      Ogni famiglia è un piccolo mondo a sé, con la propria storia, i propri valori ed il proprio modo di parlarsi. Il metodo più efficace per poter fornire risposte ai figli è rispecchiare le proprie abitudini. I bambini imparano ciò che osservano dai loro genitori, anche rispetto alla malattia: se voi parlate della malattia in famiglia ed esprimete le vostre emozioni, questo faciliterà anche loro nel parlare di ciò che provano e nel farvi domande. Sappiate che, per quanti sforzi possiate fare per nascondere la verità ed allontanare i vostri figli dalla sofferenza, questi percepiranno comunque un cambiamento nel clima famigliare, per cui avranno bisogno di sapere cosa sta succedendo e cosa vi rende diversi. Senza spiegazioni possono rimanere inquieti e confusi.

      La difficoltà a parlare con loro della malattia nasce spesso dalle vostre stesse ansie e dai vostri disagi. Riconoscere per prima cosa le proprie paure può essere un importante primo passo per sentirsi pronti a coinvolgere i vostri figli nel percorso di cura.

Psiconcologia. Cos’è e a cosa serve?

Arriva il momento in cui si è seduti davanti al medico e i risultati sono arrivati, è un tumore.

Perché a me?”, “Cosa ho fatto per meritarmi questo?”, “Come lo dico ai miei figli?”, “Come faccio adesso?”, “E se muoio?”…

L’annuncio della diagnosi è un momento estremamente critico, di passaggio. Improvvisamente si passa dall’essere sani all’essere malati e la minaccia di vita costituisce uno degli elementi più dirompenti nel vissuto della persona.

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In breve si inizia a frequentare l’ospedale, l’oncologia. Iniziano le terapie. La quotidianità cambia, le cure dettano i tempi e il fisico si affatica e si trasforma. Cambiano le relazioni con i familiari, gli amici, il proprio ruolo lavorativo e sociale.

La psiconcologia si inserisce in questo contesto di rottura per promuovere la qualità della vita del paziente, tenendo in considerazione le esigenze, i desideri e i progetti della persona e della famiglia nelle diverse fasi della malattia.

In tal senso il ruolo dello psicologo in oncologia è quello di integrare le diverse dimensioni coinvolte dalla malattia oncologica attraverso la costante collaborazione con medici e infermieri, nell’ottica di una presa in carico globale del paziente (come persona).

A chi si rivolge la psiconcologia?
A tutti i pazienti e ai loro familiari, qualunque sia la diagnosi, la prognosi e la risposta alle terapie.

Quando è utile rivolgersi allo psiconcologo?
Non c’è un momento preciso in cui rivolgersi allo psicologo, ogni persona ha esigenze e tempi diversi.

C’è chi lo fa al momento della diagnosi “mi è caduto il mondo in testa, sono distrutto”, chi durante le terapie “non mi riconosco più, sono ingrassata di 20 kg e ho perso i capelli”, chi alla guarigione “è arrivato il momento di fermarmi un attimo e prendere del tempo per me e capire cosa è successo”.
C’è chi si rivolge allo psicologo dopo aver scoperto una recidiva “credevo di esserne uscito, di aver finito, non posso pensare di ricominciare tutto da capo” e chi quando la malattia è in fase avanzata “non c’è più molto da fare, ma finché son qui voglio vivere!”.

Quindi non c’è un momento giusto, solo il desiderio di farlo.

Per cosa ci si rivolge allo psiconcologo?
La malattia oncologica mette la persona di fronte a sfide e criticità di diversa natura alle quali ogni paziente risponde a proprio modo, a seconda del momento di vita, delle risorse disponibili, dalle relazioni in atto, dei suoi progetti ecc.

Benché i pazienti si trovino ad affrontare la “stessa” situazione, Il motivo del primo contatto può essere anche molto diverso. Non tutti, infatti, affrontiamo le situazioni allo stesso modo e non sono necessariamente le stesse cose a farci stare male. 

Per qualcuno può essere la gestione degli effetti collaterali delle terapie, per un altro la comunicazione ai figli della diagnosi, o ancora la difficoltà a comunicare con il paziente. Può essere la paura della morte, la preoccupazione per il futuro, un problema fisico o sessuale. O qualunque altro motivo.

Rivolgersi allo psicologo consente la costruzione di risorse interne e strategie per affrontare i momenti critici della malattia e fare in modo che la vita non si esaurisca nella malattia, perché come dice un antico detto marinaro “non è il vento ma l’assetto delle vostre vele a stabilire la rotta che volete seguire”.